sabato 13 febbraio 2016

Sei

La polizia riaccompagnò a casa Jaime e Sol, ma la ragazza rimase a lungo in estrema tensione. Girava come impazzita per casa, piangeva. 
Tornò infine al bar, aprì la porta, la richiuse, con due giri di chiave. Buio, solo la luce dei lampioni che illumina fiocamente il locale. Silenzio. Voci. Voci? – Cosa stai dicendo? Io non…- urlò la ragazza.
Nessuna risposta, tutto taceva. – Io non sono lei, no, no! Aiuto, aiuto! Sto impazzendo! Aiuto! - piangeva.
Si accasciò accanto alla macchina del caffè. Si prese la testa tra le mani e pianse, come non aveva mai fatto in vita sua. Accese la radio, ma questo non alleviò il suo dispiacere, perché stavano trasmettendo “Atlantide”, la nuova canzone di Daniele Celona con Levante. Sol incominciò a canticchiare le parole, anche se le lacrime continuavano a scorrerle impetuose.
Si sdraiò su due tavolini, e il suo sguardo si perdeva nel soffitto, viaggiava, verso un sonno leggero, finalmente.
Erano le 7.30, quando Sol venne svegliata da un rumore: qualcuno bussava alla porta. Aprì bene gli occhi e vide una signora dai lunghi capelli marroni e dagli occhi azzurri, di un azzurro vivo, quasi innaturale, che la stava salutando. Sol si alzò dal tavolo, andò ad aprire la porta:
- Bonjour Mademoiselle! Ben alzata!-
Era anche sarcastica, la donna.
- Mi presento, sono Clothilde, e sono una psicologa e criminologa: collaboro con la polizia, voglio cercare di capire qualcosa in più sulla vicenda. -
Quella donna stupì Sol. Dopo tutti gli eventi capitati ci mancava la psicologa! Però era particolare, sorrideva. Sì, sorrideva. E portava degli abiti buffi e assemblati in modo apparentemente casuale: scarpettine col tacco rosse, un paio di jeans scuri, una maglietta colorata, una giacca beige, sciarpa viola e borsa arancione.
Era una psicologa, matta, ma psicologa, e sapeva analizzare la mente, perché riusciva a intrufolarsi nel cervello delle persone. Clothilde, “Clo”, era anche chiamata “la psicologa-falco”. A lei non sfuggiva niente, neanche il minimo movimento di una pupilla.
- Potrei avere un café, s’il vous plaît ? - disse in francese, sempre sorridendo.
Davanti a un caffè tutto è più bello. Si sentiva a suo agio, stranamente, davanti a quella donna. Come aveva detto di chiamarsi? Ah sì! Clothilde.
-Veniamo al punto, Sol. La vittima, il foglietto dove hai scritto il numero di telefono del tuo collega, Jaime, tu. -
Sol la fissava, il suo volto aveva mutato espressione.
- Il foglietto apparteneva alla vittima, ci sono le sue impronte, ma anche le tue. Ma questo al momento non mi interessa. - Diceva lentamente Clothilde-“Clo”, inclinando la testa e strizzando gli occhi celesti.
- Che relazione avevi con la vittima? -
- Io non la conosco -
- Menti. -
- Si sbaglia, signora Clothilde - replicò Sol.
- Oh, andiamo, basta sciocchezze!. - Le guardò il volto. – Tu conoscevi la vittima, non è così? -
Sol taceva, ma i suoi occhi parlavano. Come stavano parlando quelli della criminologa.
- Certo che la conoscevi. -
- La prego, se ne vada! - Disse Sol ferocemente.
- Chi era la vittima? Una tua sosia? Ma no, certo... Lei potrebbe essere la tua sorella gemella e tu l’hai uccisa. Gelosia? Soldi? Tradimento? -
Sol prese la tazzina e la lanciò contro il muro.
- Se ne vada, ho detto! - gridò.
Senza battere ciglio l’abile criminologa disse: - Magari tua sorella usava i soldi che tu guadagnavi per fare la bella vita, costringendo te a lavorare nel bar e nella discoteca, e tu l’hai uccisa, l’hai trascinata proprio qui accanto al bar, a faccia in giù, per mostrare il disprezzo che provavi nei suoi confronti. Ottimo ragionamento, no? - Clothilde si era seduta sul tavolo e la guardava con i suoi occhi azzurro- gelido.
Sol si alzò e se ne andò, sbattendo la porta. Era furiosa, piangeva. “Clo” era soddisfatta, aveva ottenuto quello che voleva. Lasciò i soldi del caffè sul tavolo e uscì pensierosa. Si accorse che la ragazza aveva perso una tessera. La raccolse.
- Bingo! - esclamò la donna con uno sguardo malizioso.
Andò al parco, si sdraiò sulla panchina e, fissando le foglie dell’albero che si muovevano, disse a bassa voce: “Sol mente sulla sua identità. La tessera dice che si chiama Loredana e che è nata in Italia. Allora chi è questa Loredana che dice di chiamarsi Sol? E chi è in realtà la vittima? Perché è stata abbandonata proprio davanti al bar dove lavora Sol? Che legame aveva lei con la vittima? Perché Sol mente sulla sua identità? Protegge qualcuno? Nasconde un segreto?”
Pensava, sempre sdraiata sulla panchina.
Era psicologa e criminologa, era matta, ma lei era Clothilde e prima o poi avrebbe risolto questo mistero: del resto, a lei non sfuggiva niente.

giovedì 11 febbraio 2016

Cinque

- Sono sempre la solita, non cambio mai!- affermò Sol più a se stessa che all’amico al suo fianco: - Sono sbadata, estremamente sbadata! - 
Jaime rise, perché era vero. La ragazza era veramente brava e metteva impegno in tutto ciò che faceva, dal lavoro ai suoi più adorati passatempi, ma a volte poteva proprio essere sbadata. Questo il ragazzo lo sapeva bene, perché più volte si era fermato a osservarla inciampare quasi nei suoi piedi e combinare qualche piccolo, ma per niente grave, pasticcio.
In realtà, Sol e Jaime erano molto turbati: la prima per la scoperta del cadavere dal suo stesso aspetto, mentre il secondo per quell’inconfessabile segreto di cui, da anni ormai, lui era il solo a conoscenza.

Jaime si considerava il ragazzo più tranquillo dell’intera Spagna. Lo era sin da piccolo quando, a differenza dei suoi amici, che erano sempre sporchi di fango per aver giocato a lungo nella calda campagna catalana, lui era sempre pulito e in perfetto ordine, perché preferiva leggere un libro sdraiato su un’amaca all’ombra di un albero. Lo era anche quando, ad un lungo bagno nell’immensità del mare, lui preferiva osservarla, quell’immensità, dall’alto di uno scoglio, disturbato solamente da qualche granchietto dispettoso e da qualche folata di vento che gli scompigliava i capelli e gli faceva venire un piccolo brivido.
A scuola non era il primo della classe, ma indubbiamente era colui che ci metteva più impegno, e questo gli altri lo apprezzavano: soprattutto i suoi genitori, i quali erano molto contenti di avere un figlio come lui. Finita la scuola, aveva deciso di cercare un lavoro in modo da non gravare troppo sulle spalle dei propri genitori, i quali - secondo lui - lo avevano già aiutato largamente. 

Ed era per questo che Jaime non doveva essere lì quella sera. Ma si era lasciato convincere dai suoi amici, che erano stanchi di divertirsi senza di lui, sempre chiuso in una stanza. Allora, sentendosi già - appena arrivato - nel posto sbagliato, si era ritrovato in quel locale.
La musica era assordante, conturbante e seducente, come le mille ballerine che, in abiti tutto meno che pudici, danzavano a quel ritmo sconvolgente. Il clima della serata era caldo e un’ondata di uomini, sui cui volti aleggiava la medesima espressione, affollava quell’angusto eppur immenso night club. Grazie all’entusiasmo dei suoi scapestrati amici, Jaime bevve più di quanto si aspettava, e più di quanto era solito bere, e così iniziò a sciogliersi e a liberare la mente. Nemmeno i suoi più grandi amici l’avevano mai visto così loquace e spensierato. Qualche drink di troppo, e si ritrovò in pista, intento in una danza più che sfrenata.
E fu qui che accadde. Qui tutto ebbe inizio. Qui il segreto prese forma. La notte era ancora giovane, ma la serata era già al suo culmine. 
Lei entrò. La folla gridò. Anche Jaime all’inizio gridò, ignaro di ciò che avrebbe visto dopo. Ignaro di cosa avrebbe pensato dopo e ignaro di quello che avrebbe fatto. Lei non era volgare, no, ma semplicemente e assolutamente provocante. La musica partì e metà della folla riconobbe quel ritmo cadenzato di Let’s go fucking Mental -The Brian Jonestown Massacre. Tanti iniziarono a cantare e a incitare la ragazza, definita “La candida dama nera”. Ogni suono rimbombava nella testa di ogni uomo, che osservava come le luci soffuse giocassero, come onde che si inseguano e si increspino, unendosi sul corpo formoso della ragazza. Aveva i capelli sciolti, i quali ondeggiavano fluidi nell’aria ad ogni suo movimento. Una leggera veste copriva delicatamente il suo corpo e una maschera veneziana le nascondeva il volto chiaro.
La folla era dominata dalla ragazza, che sapeva di averli in pugno. Li illudeva che da lei potessero avere qualcosa e si divertiva a farlo, come molti si erano divertiti con lei. Per la ragazza questo lavoro era insomma una piccola rivincita.
Lo spettacolo era al termine e, ormai alla chiusura del locale, mentre stava uscendo, Jaime notò la ragazza togliersi la maschera. Lo stupore lo folgorò, perché non pensava che una ragazza come Sol, come l’amica d’infanzia, che al mattino apriva il bar e la sera lo chiudeva, potesse svolgere, durante le ore più scure e misteriose della giornata, un lavoro così conturbante. 
D’altro canto, la ragazza si comportava come se non notasse Jaime, il quale rimase ancora più sorpreso. Provò a rivolgersi a lei, ma, evidentemente, era come se i due parlassero due lingue diverse.
La ragazza, che aveva già conosciuto il lato difficile della vita, visibilmente impaurita, strattonò infine il ragazzo e scappò. Tra i due c’era incomprensione. Nei due c’era confusione.

martedì 9 febbraio 2016

Quattro

"Non può essere! ... impossibile! ... è sicuramente uno scherzo!", pensò tra sé e sé Sol appena riconobbe il suo volto nel bianco e freddo cadavere.
Di colpo iniziò a sudare e a muovere le gambe nervosamente, come se stesse vivendo un nuovo incubo, ma questo purtroppo era reale: Sol non poteva davvero sperare di svegliarsi e di rendersi conto che si trattava solo di un brutto sogno, perché ora, ma sì! era proprio tutto reale.
- Dammi un pizzicotto Jaime! Jaime ho detto dammi un pizzicotto, non può essere vero! Jaime! - ripeteva Sol girandosi verso l’amico e alzando il tono della voce, non ricevendo nessuna risposta.
Jaime, vedendo il corpo della sua amica senza vita, intanto era svenuto, e adesso la scientifica stava cercando di soccorrerlo. Erano tutti attorno al ragazzo, tranne Sol; la troppa confusione che aveva in testa non le aveva permesso di realizzare che Jaime si era sentito male.
L’unica cosa che fece, forse impulsivamente, senza nemmeno volerlo, fu avvicinarsi al corpo.
Come se non fosse più lei, come se la sua fragilità e la sua paura fossero completamente sparite, Sol scoprì il volto della ragazza e lo fissò. Era veramente la sua copia: stessi occhi, stesso naso, stessa bocca, capelli lunghi e neri, come quelli di Sol.
La ragazza scoprì del tutto il corpo e, vedendo qualcosa uscire dalla tasca dei jeans, lo sfilò senza pensarci due volte e se lo mise in tasca.
- Signorina che fa? Non può assolutamente toccare il cadavere! - le disse l’ispettore, il signor Hernandez, quando si accorse che Sol lo aveva scoperto. 
- Sì, scusi... è che... non volevo... - rispose con voce esile Sol.
- Cosa signorina? Avanti, dica! -
- No, no niente.. niente di importante. -
- Signorina Sol, in questo momento tutto per noi è importante, anche una piccola cosa, che a lei può sembrare banale, per noi è essenziale... essenziale almeno per aprire una pista, visto che non abbiamo niente in mano.
Per questo la prego, qualsiasi cosa le passi per la testa me la comunichi.. qualche stranezza notata nell’ultimo periodo qui al bar, qualche comportamento inusuale... Ha detto di avere qualche cliente abituale qui, giusto?-
- Sì - rispose con un filo di voce la ragazza.
-Ecco, bene, ha notato qualcosa di strano in loro? La prego, ci pensi! -
- No, nulla... cioè forse sì... la Carmen...- 
Ieri Carmen, una delle sue clienti più abituali, era un po’ strana, ma Sol non ci aveva fatto caso: quella donna aveva sempre qualche problema: una volta il suo barboncino che stava male, una volta la parrucchiera che le aveva sbagliato il colore... aveva sempre qualcosa di nuovo di cui lamentarsi e Sol ormai era talmente abituata ai suoi lunghi e noiosi discorsi, che non faceva nemmeno più caso a quello che la donna diceva.
- Mi dica signorina! Cosa la Carmen? Chi è questa donna? - chiese l’ispettore molto cortesemente, da uomo gentile che era.
- La Carmen, Carmen Gonzalez: è una signora che viene da noi quasi tutte le mattine e poi se ne va al mercato. Prende un decaffeinato, una pasta rigorosamente vuota e un bicchierino d’acqua naturale, perché quella frizzante gonfia. - Ripeté Sol come se sentisse le parole della signora risuonare nella sua mente.
- Bene - rispose l’ispettore, appuntando tutto nel suo taccuino verde. - E cosa ha fatto la signora Gonzalez in questi giorni di strano? -
- Ieri mattina, quando è arrivata, aveva una brutta cera: si vedeva che non aveva dormito: aveva delle occhiaie! è entrata, ha preso solo un cornetto, ha pagato e salutandomi con un cenno della mano, è uscita di nuovo. Non avendo visto il cane, ho pensato che forse avesse un appuntamento dal veterinario, visto che quel povero cucciolo sta sempre male. Per questo non ho sospettato nulla - raccontò Sol, mentre il signor Hernandez continuava a prendere appunti.
- E le ha detto qualcosa, la signora?-
- Jaime!- gridò di colpo Sol vedendo ricomparire l’amico: -Che ti è successo? -
- Tutto a posto Sol, mi sono solo un po’ spaventato. Forse è meglio se vado a casa a riposarmi: questa situazione è davvero strana.- rispose Jaime, un po’ stordito.
- Vengo con te!- reagì Sol d’impatto, come se volesse evitare ulteriori domande; poi si girò verso l’ispettore e gli chiese -Posso andare ,signor Hernandez? -
- Sì, vada signorina, però mi raccomando: qualsiasi cosa... ce la dica! Ah, dove possiamo trovare il suo socio? -
- Oggi ha il giorno libero, ma se vuole posso lasciarle il suo numero di telefono. - 
- Sarebbe molto gentile da parte sua, signorina Sol. - 
La ragazza entrò nel bar, si avvicinò al bancone e prese una biro; poi frugò nelle tasche e tirò fuori un foglietto di carta, dove cominciò a scrivere. 
- Ecco! - disse Sol, porgendo il foglietto all’ispettore.
- Grazie mille signorina! Riposi e resti in zona: sicuramente la chiameremo per un altro interrogatorio. -
Nel viaggio di ritorno, Sol iniziò a raccontare a Jaime di quello che aveva rubato dai jeans del cadavere, ma, cercando nelle tasche del suo giubbotto, non trovò più nulla.
- No! - esclamò. Però aveva visto scritto il numero del telefono di Pablo nel foglio che aveva trovato nella tasca del cadavere.